TRIBUNALE DI TRANI 
                           Sezione civile 
 
    Il giudice, nella causa civile iscritta al n. 670/2013 del  Ruolo
Generale tra: 
        Padovano Arcangelo, rappresentato  e  difeso  dall'avv.  Vito
Luigi Cofano, ed elettivamente domiciliato in Trani, in  C.so  Cavour
n. 108, presso lo studio dell'avv. F. Mastroviti - Opponente; 
e 
        Pasculli Domenico, rappresentato e difesa  dall'avv.  Antonio
Pellegrini,  ed  elettivamente  domiciliato presso  lo   studio dello
stesso avvocato, sito in Bisceglie in via Moro n. 30 - Opposto; 
        UNIPOLSAI ASSICURAZIONI s.p.a., in  persona  del  procuratore
speciale Mauro Debiaggi, rappresentata  e  difesa  dall'avv.  Antonio
Vinci, ed elettivamente domiciliata presso  lo  studio  dello  stesso
avvocato, sito in Bari, via de Rossi n. 2013 - Opposta; 
    Rilevato, in ordine al ricorso proposto, ex art. 702-bis  c.p.c.,
il 27 febbraio 2013 da Padovano Arcangelo, con cui si e' opposto alla
liquidazione effettuata in  suo  favore,  per  l'attivita'  espletata
quale ctu nel detto procedimento, dal giudice di  pace  di  Bisceglie
nel giudizio n. 691/2010 R.G.: 
        che risulta infondata l'eccezione  preliminare  sollevata  da
Pasculli   Domenico,   riguardante   la   doglianza   relativa   alla
proposizione del ricorso genericamente al Tribunale di Trani anziche'
specificamente  al  Presidente  di  questo  Tribunale,  come   invece
previsto dall'art. 15 del decreto legislativo n. 150/2011, posto che,
se e' vero, da un lato, che tale disposizione prevede  la  competenza
del Presidente del Tribunale, e'  altrettanto  vero  che  le  vigenti
previsioni tabellari di questo Tribunale prevedono per l'appunto  che
i procedimenti del tipo di quelli in esame siano trattati dai giudici
della Sezione civile, area «A», con delega, quindi, presidenziale, al
riguardo; 
        che,  del  resto,  per  identita'  di  ratio  e'  sufficiente
richiamare  quanto  affermato  dalla  Suprema  Corte  sia  pure   con
riferimento  alla  disposizione  di  cui  all'art.  170  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 115/2002 precedente  alla  entrata  in
vigore del decreto legislativo n.  150/2011  (decreto,  quest'ultimo,
applicabile ratione temporis al caso di specie), secondo cui in  tema
di spese di giustizia, stante la previsione di cui all'art.  170  del
decreto del Presidente  della  Repubblica  30  maggio  2002,  n.  115
(secondo cui, quando sia proposta opposizione avverso il  decreto  di
pagamento emesso a favore dell'ausiliario del  magistrato,  l'ufficio
giudiziario procede in composizione  monocratica),  la  competenza  a
provvedere spetta ad un giudice singolo del tribunale o  della  corte
d'appello, ai quali  appartiene  il  magistrato  che  ha  emanato  il
provvedimento   di   liquidazione    dell'indennita'    oggetto    di
impugnazione, da identificare con il presidente del medesimo  ufficio
giudiziario o con il giudice da lui delegato, con la conseguenza che,
non  essendo  configurabili,  all'interno  di  uno   stesso   ufficio
giudiziario, questioni di competenza tra il presidente ed  i  giudici
da questo delegati, ma solo di distribuzione  degli  affari  in  base
alle  tabelle  di  organizzazione,   non   costituisce   ragione   di
invalidita'  dell'ordinanza,  adottata  in  sede  di  opposizione  al
decreto di liquidazione del compenso dell'ausiliario,  il  fatto  che
essa sia stata pronunciata da un giudice diverso dal  presidente  del
tribunale (cfr. Cass. civ. Sez. II, 15 giugno 2012, n. 9879); 
        che risulta infondata anche  l'altra  eccezione  preliminare,
sollevata sia da Pasculli Domenico  che  dalla  Unipol  Assicurazioni
s.p.a., riguardante l'asserita improcedibilita' del ricorso  per  non
essere stati notificati il  ricorso  e  il  decreto  di  comparizione
dell'8 marzo 2013, eccezione fondata sulla  ritenuta  impossibilita',
da parte del giudice, di disporre nuovamente la notifica del  ricorso
e del decreto suddetto nonche' la notifica del verbale di udienza del
23 dicembre 2013, come invece  avvenuto  nel  caso  di  specie  (cfr.
verbale di udienza del 23 dicembre 2013); 
        che, invero, quanto affermato  dalla  Suprema  Corte  con  la
sentenza n. 20604/2008 richiamata dal Pasculli, secondo cui nel  rito
del  lavoro  l'appello,  pur  tempestivamente  proposto  nel  termine
previsto dalla legge,  e'  improcedibile  ove  la  notificazione  del
ricorso depositato e del decreto di fissazione dell'udienza  non  sia
avvenuta, non essendo consentito - alla stregua di un'interpretazione
costituzionalmente orientata imposta dal principio  della  cosiddetta
ragionevole durata del processo «ex» art. 111, secondo comma, Cost. -
al  giudice  di  assegnare,  «ex»   art.   421   cod.   proc.   civ.,
all'appellante un termine perentorio  per  provvedere  ad  una  nuova
notifica a norma dell'art. 291 cod. proc.  civ., e'  stato  superato,
successivamente, in modo condivisibile dalla  stessa  Suprema  Corte,
secondo cui nel rito del lavoro, nel caso  di  omessa  o  inesistente
notifica del ricorso introduttivo  del  giudizio  e  del  decreto  di
fissazione dell'udienza,  e'  ammessa  la  concessione  di  un  nuovo
termine, perentorio, per la rinnovazione della notifica  (cfr.  Cass.
civ., Sez. L, n. 1483 del 27 gennaio 2015); 
        che tale principio si ritiene applicabile anche  al  caso  di
specie, non contenendo l'art. 702-bis  c.p.c  una  previsione  legale
tipica che sanzioni con il  divieto  di  accesso  alla  giurisdizione
l'omessa  notifica  del  ricorso  introduttivo  e  del   decreto   di
fissazione dell'udienza; 
        che tale principio,  del  resto,  e'  stato  affermato  dalla
Suprema Corte anche in casi diversi dal c.d. rito del  lavoro  e,  in
particolare, in materia di equa riparazione per durata  irragionevole
del processo, sostenendo che il termine per la notifica del ricorso e
del decreto di  fissazione  dell'udienza  alla  controparte  non  sia
perentorio, non essendo previsto espressamente dalla  legge,  con  la
conseguenza che il giudice,  nell'ipotesi  di  omessa  o  inesistente
notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza, possa,
in difetto di spontanea costituzione  del  resistente,  concedere  al
ricorrente un nuovo termine, avente carattere  perentorio,  entro  il
quale rinnovare la notifica (cfr. Cass, civ., Sez. U, n. 5700 del  12
marzo 2014; cfr. anche, nello stesso senso, Cass. civ. Sez. Unite,  2
maggio 2014, n. 9558); 
    Considerato, quanto  alla  ulteriore  eccezione  sollevata  dalla
Unipol  Assicurazioni  Sai  s.p.a.,  riguardante  l'inosservanza  del
termine di venti  giorni  previsto  dall'art.  170  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 115/2002 e, dunque, l'improcedibilita'
della  domanda,  invocata  sul  presupposto   che   il   decreto   di
liquidazione fosse stato comunicato il 31 gennaio 2013 e fosse  stato
opposto solo con ricorso depositato il 27 febbraio 2013 (dunque oltre
i venti giorni successivi a tale comunicazione): 
        che  lo   stesso   ricorrente   ha   dedotto,   nel   ricorso
introduttivo, di  avere  avuto  comunicazione  del  provvedimento  in
oggetto il 31 gennaio 2013 (come si evince  anche  dal  provvedimento
medesimo, prodotto dal ricorrente, e dalla  relativa  ricevuta  della
comunicazione a mezzo fax); 
        che  il  ricorso  risulta  depositato  effettivamente  il  27
febbraio 2013 (dunque oltre venti giorni dopo tale comunicazione); 
        che  l'art.  15   del   decreto   legislativo   n.   150/2011
(applicabile, si ribadisce, ratione temporis al caso di specie),  nel
prevedere che le controversie previste dall'art. 170 del decreto  del
Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n.  115,  siano  regolate
dal rito sommario di cognizione, ove non  diversamente  disposto  dal
presente articolo, non prevede, invece, il termine  di  venti  giorni
contenuto nell'originaria  formulazione  dell'art.  170  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 115/2002 e considerato perentorio - e,
dunque, a pena di decadenza dalla opposizione - dalla  giurisprudenza
intervenuta sul punto (cfr. Cass.  civ.,  Sez.  2,  n.  20485  del  6
ottobre 2011; cfr. anche Cass. civ., Sez. 2, n. 9792  del  14  giugno
2012); 
        che, infatti, il decreto legislativo n. 150  del  2011,  art.
34, comma 17, ha sostituito l'art. 170, comma 1, ed abrogato i  commi
successivi, con la conseguenza che esso  prevede  ora  solamente  che
«avverso il decreto di pagamento emesso a favore dell'ausiliario  del
magistrato, del custode e  delle  imprese  private  cui  e'  affidato
l'incarico di demolizione e riduzione in pristino, il beneficiario  e
le  parti  processuali,  compreso  il  pubblico  ministero,   possono
proporre  opposizione»  e  che  «l'opposizione  e'  disciplinata  dal
decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, art. 15»; 
        che la Corte di cassazione, di recente (cfr. Cass. civ.  Sez.
III, Ord., 1° aprile 2015, n. 6652), ha trasmesso gli atti alla Corte
costituzionale, ritenendo rilevante e non manifestamente infondata la
questione di legittimita' costituzionale del combinato  disposto  del
decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, art. 34, comma  17,  e
art. 15, comma 2, per contrasto con l'art. 76 Cost., ed in  relazione
alla legge 18 giugno 2009, n. 69, art. 54 commi 1  e  4,  ovvero  per
contrasto con gli articoli 3 e 24 Cost., e art. 111 Cost.,  comma  7,
nella parte in cui ne  discende  non  essere  piu'  previsto  che  il
ricorso disciplinato dal decreto del Presidente della  Repubblica  30
maggio 2002, n.  115,  art.  170  sia  proposto  entro  venti  giorni
dall'avvenuta comunicazione; 
        che  la  semplice  trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale  per  la  questione  suddetta  non   puo'   comportare
automaticamente la sospensione di questo giudizio,  posto  che,  come
affermato dalla Corte di cassazione, nel quadro della  disciplina  di
cui all'art. 42 cod. proc. civ.  -  come  novellato  dalla  legge  26
novembre 1990, n. 353 - non vi e' piu' spazio per una discrezionale e
non sindacabile facolta' di sospensione del processo  esercitata  dal
giudice al  di  fuori  dei  casi  tassativi  di  sospensione  legale,
derivandone, cosi', l'impugnabilita', ai sensi  del  citato  art.  42
cod. proc. civ., di ogni provvedimento di sospensione  del  processo,
quale che ne sia la motivazione,  e  la  conseguente  fondatezza  del
ricorso ogni  qualvolta  non  si  sia  in  presenza  di  un  caso  di
sospensione  espressamente  prevista   dalla   legge   o   rientrante
nell'ipotesi prevista dall'art. 34. Va, pertanto, accolto il  ricorso
proposto avverso l'ordinanza con la quale il giudice abbia sospeso il
giudizio in relazione alla pendenza di questione di costituzionalita'
sollevata in altro processo, dovendo in tal caso il giudice,  qualora
ritenga rilevante la  questione,  investire  a  sua  volta  la  Corte
costituzionale  e  successivamente  procedere  alla  sospensione  del
giudizio (cfr. Cass. civ, Sez. 6 - 1, n. 16198 del  26  giugno  2013;
Sez. 2, a n. 24946 del 24 novembre 2006); 
        che, dunque, occorre verificare se  ricorrano,  nel  caso  di
specie, i presupposti  di  cui  all'art.  23  legge  n.  87/1953  per
sospendere il presente giudizio e trasmettere  gli  atti  alla  Corte
costituzionale; 
    Considerato: 
        sul punto, che la questione  di  legittimita'  costituzionale
del combinato disposto del decreto legislativo 1° settembre 2011,  n.
150, art. 34, comma 17, e art. 15, comma 2, per contrasto con  l'art.
76 Cost., ed in relazione alla legge 18 giugno 2009, n. 69, art.  54,
commi 1 e 4, ovvero per contrasto con gli articoli 3 e  24  Cost.,  e
art. 111 Cost., comma 7, nella parte in cui ne  discende  non  essere
piu' previsto che il ricorso disciplinato dal decreto del  Presidente
della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, art. 170, e'  rilevante  nel
caso di specie (una volta rilevata la infondatezza  delle  altre  due
eccezioni preliminari sopra esaminate), posto che tale termine - come
detto in  precedenza  -  non  risulta  essere  stato  rispettato  dal
ricorrente/opponente (e, dunque, ove ritenuta  fondata  la  questione
sollevata, l'opposizione risulterebbe inammissibile perche' tardiva); 
        che,  quanto  alla  non  manifesta   infondatezza   di   tale
questione,  questo  giudice  condivide  pienamente   le   motivazioni
riportate  nella  detta  ordinanza  n.  6652/2015  della   Corte   di
cassazione, che di seguito si riportano: 
          «Ora,  la  riforma  del  decreto   del   Presidente   della
Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, art. 170, operata con  il  decreto
legislativo 1° settembre 2011, n. 150, art. 15, ne ha  comportato  la
totale  riscrittura.  Invero,  il  testo  originario  dell'art.   170
prevedeva, al suo comma 1,  che  "Avverso  il  decreto  di  pagamento
emesso a favore dell'ausiliario del magistrato, del custode  e  delle
imprese private cui e' affidato l'incarico di demolizione e riduzione
in pristino, il beneficiario e  le  parti  processuali,  compreso  il
pubblico ministero, possono proporre opposizione, entro venti  giorni
dall'avvenuta comunicazione, ai presidente  dell'ufficio  giudiziario
competente," ed i commi  successivi  prevedevano  l'applicazione  del
processo speciale previsto per gli onorari di  avvocato,  affidandolo
all'ufficio giudiziario in composizione monocratica, cui  conferivano
il potere di sospendere  l'esecuzione  provvisoria  del  decreto  con
ordinanza  non  impugnabile  e  di  acquisire  atti,   documenti   ed
informazioni necessari ai fini della decisione. Il  termine  previsto
da tale norma doveva poi qualificarsi  perentorio,  come  presupposto
gia' nella giurisprudenza  specificamente  intervenuta  sul  punto  -
Cass. 6 ottobre 2011, n. 20485, ovvero Cass. 14 giugno 2012, n.  9792
- e conformemente a quanto gia', invece espressamente, affermato  per
il termine imposto per la previgente opposizione ai sensi della legge
8 luglio 1980, n. 319, art. 11, comma 5,  (fin  da  Cass.  21  aprile
1994,  n.   3812),   siccome   finalizzato   alla   proposizione   di
un'impugnazione. In virtu' della legge di delega, di cui  alla  legge
18 giugno 2009, n. 69, art.  54,  primi  quattro  commi,  il  decreto
legislativo 1° settembre 2011, n. 150, ha riprotto  il  procedimento,
gia' disciplinato dal decreto del Presidente della Repubblica n.  115
del 2002, art. 170, allo schema del procedimento sommario, ma non  ha
riprodotto il termine di proposizione  espressamente  previsto  nella
disciplina originaria. Infatti, il decreto  legislativo  n.  150  del
2011, art. 34, comma 17,  ha  sostituito  l'art.  170,  comma  l,  ed
abrogato i commi successivi, sicche' esso prevede ora  solamente  che
"avverso il decreto di pagamento emesso a favore dell'ausiliario  del
magistrato, dei custode e  delle  imprese  private  cui  e'  affidato
l'incarico di demolizione e riduzione in pristino, il beneficiario  e
le  parti  processuali,  compreso  il  pubblico  ministero,   possono
proporre opposizione" e che l'opposizione e' disciplinata dal decreto
legislativo 1° settembre 2011, n. 150, art. 15.  "Contemporaneamente,
l'art.  15  del  medesimo  decreto  legislativo   prevede:   "1.   Le
controversie previste dal decreto del Presidente della Repubblica  30
maggio 2002, n. 115, art. 170, sono regolate  dal  rito  sommario  di
cognizione, ove non diversamente disposto dal presente  articolo.  2.
Il  ricorso  e'  proposto  ai  capo  dell'ufficio   giudiziario   cui
appartiene il magistrato che ha emesso  il  provvedimento  impugnato.
Per i provvedimenti emessi da magistrati dell'ufficio del giudice  di
pace e del pubblico ministero presso il tribunale  e'  competente  il
presidente del tribunale. Per i provvedimenti  emessi  da  magistrali
dell'ufficio del pubblico ministero presso la  corte  di  appello  e'
competente il presidente della corte di appello. 3. Nel  giudizio  di
merito  le  parti  possono  stare  in  giudizio   personalmente.   4.
L'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato puo' essere sospesa
secondo quanto previsto dall'art. 5. 5. Il presidente puo' chiedere a
chi ha provveduto alla liquidazione o a chi li detiene, gli  atti,  i
documenti e le informazioni necessari ai  fini  della  decisione.  6.
L'ordinanza  che  definisce  il  giudizio  non  e'  appellabile."  E'
evidente che del termine, originariamente previsto, non  vi  e'  piu'
traccia: sicche', in base ad elementari criteri ermeneutici  in  tema
di successione  delle  leggi,  dal  combinato  disposto  del  decreto
legislativo 1° settembre 2011, n. 150, art. 34, comma 17, e dell'art.
15, risulta che esso e' stato soppresso, per essere  stata  abrogata,
mediante integrale riscrittura,  la  norma  che,  in  precedenza,  lo
prevedeva. Ma la disposizione che ha comportato tale risultato - e la
cui applicazione potrebbe essere dirimente nel caso in esame - non si
sottrae a dubbi di non conformita' alla  Costituzione,  da  rilevarsi
anche di ufficio. p.7. - In primo luogo, in modo  non  manifestamente
infondato  puo'  sostenersi  che  una   simile   disposizione   abbia
oltrepassato i limiti della legge delega e quindi violato  l'art.  76
Cost. p. 7.1. I principi ed i criteri direttivi della delega  per  la
c.d. semplificazione dei riti  civili  sono  stati  posti  dal  comma
quarto della richiamata legge n. 69 del 2009, art.  54  nei  seguenti
testuali termini: "a) restano fermi i criteri di competenza,  nonche'
i criteri di  composizione  dell'organo  giudicante,  previsti  dalla
legislazione vigente; b) i procedimenti civili di natura  contenziosa
autonomamente regolati dalla legislazione speciale sono ricondotti ad
uno dei seguenti modelli processuali previsti dal codice di procedura
civile: 1)  i  procedimenti  in  cui  sono  prevalenti  caratteri  di
concentrazione processuale, ovvero di  officiosita'  dell'istruzione,
sono ricondotti al rito disciplinato dal libro  secondo,  titolo  4^,
capo l^, del codice di proceduta civile; 2) i procedimenti, anche  se
in  camera  di  consiglio,  in  cui  sono  prevalenti  caratteri   di
semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa, sono
ricondotti al procedimento sommario di cognizione  di  cui  ai  libro
quarto, titolo 1^, capo 3^ bis, del codice di procedura civile,  come
introdotto dall'art.  51  della  presente  legge,  restando  tuttavia
esclusa per tali procedimenti la possibilita' di conversione nel rito
ordinario; 3) tutti gli altri procedimenti sono ricondotti al rito di
cui al libro secondo, titoli 1^ e 3^, ovvero titolo 2^, del codice di
procedura civile; c) la riconduzione ad uno dei riti di cui ai numeri
1),  2)  e  3)  della  lett.  b)  non  comporta  l'abrogazione  delle
disposizioni previste dalla legislazione speciale  che  attribuiscono
al giudice poteri officiosi, ovvero di quelle finalizzate a  produrre
effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice
di procedura civile; d) restano in ogni caso  ferme  le  disposizioni
processuali in  materia  di  procedure  concorsuali,  di  famiglia  e
minori, nonche' quelle contenute nel R.D. 14 dicembre 1933, n.  1669,
nel regio decreto 21 dicembre 1933, n. 1736, nella  legge  20  maggio
1970, n. 300, nel codice  della  proprieta'  industriale  di  cui  al
decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, e nel codice del consumo
di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n.  206»  p.  7.2.  I
primi commentatori non hanno mancato di rilevare che la  dimenticanza
nell'indicazione del termine di decadenza per  proporre  opposizione,
che  in  precedenza   era   di   venti   giorni,   abbia   comportato
l'introduzione  nel  tessuto  normativo  di  nuove  contraddizioni  e
difficolta' operative: lacuna che e' subito apparsa insuscettibile di
essere colmata in via interpretativa, poiche' i termini decadenziali,
come noto, devono risultare chiari nella legge; e non  si e'  mancato
di rimarcare come, paradossalmente, resti invece in vigore il termine
di venti giorni previsto  per  l'opposizione  contro  il  diniego  di
ammissione al gratuito  patrocinio  nel  solo  processo  penale,  non
essendo stato infatti abrogato l'art. 99 del richiamato T.U. 115  del
2002, sicche' il termine da esso individuato  dovrebbe  continuare  a
vincolare l'opponente. Si e' pertanto da  alcuni  rilevato  che,  non
potendosi giungere all'estensione, in  via  ermeneutica,  di  termini
previsti per fattispecie diverse, non si  avrebbe  altra  scelta  che
sollevare la questione di legittimita' costituzionale, se  non  altro
sotto  il  profilo  dell'eccesso  di  delega,   quanto   all'avvenuta
soppressione del detto termine perentorio. Altri, al contrario ed  al
dichiarato fine di scongiurare un tale altrimenti evidente profilo di
illegittimita' costituzionale, hanno ritenuto, anche tra i giudici di
merito, evincibile  in  via  ermeneutica  un  termine  perentorio  di
proposizione dell'opposizione. p.7.3. Eppure, deve in  modo  convinto
escludersi  la  possibilita'  di  ricavare  in   via   interpretativa
l'imposizione di un termine  decadenziale,  quale  quello  breve  per
proporre un'impugnazione (il quale,  significativamente, e'  previsto
specificamente per ciascuna azione  di  impugnazione  -  ordinaria  e
straordinaria - in senso tecnico, a differenza di  quello  ordinario,
di cui all'art. 327 c.p.c), ovvero  quello  che,  in  generale,  puo'
essere  previsto  per  lo  speciale   schema   procedimentale   della
"opposizione". Quest'ultimo consiste nell'introduzione di una  fase a
contraddittorio restaurato - o finalmente instaurato - ma eventuale e
rimessa all'impulso della parte nei cui confronti  il  provvedimento,
generalmente in presenza di  particolari  condizioni  di  favore  per
colui  che  lo  consegue,  e'  stato  emesso:  solo  tali   peculiari
condizioni e la garanzia della restaurazione,  sia  pur  posticipata,
del  contraddittorio  giustificano   l'inversione   della   posizione
processuale delle  parti  e  l'alterazione  dell'altrimenti  doveroso
iniziale   equilibrio   tra   le   parti   (e,   cosi',   la   stessa
costituzionalita' del sistema). La deduzione in via interpretativa di
un termine decadenziale non espressamente previsto,  in  un  contesto
dove  anzi e'  stato  esplicitamente  soppresso,  e'  in   insanabile
contrasto con principi  generali  di  ermeneutica,  primo  fra  tutti
quello di specialita', applicato al diritto processuale in  relazione
alla tendenziale liberta' di estrinsecazione delle facolta' in cui si
sostanzia il diritto di difesa. E neppure  potrebbe  ricostruirsi  un
preteso sistema generale di opposizioni e di termini perentori che le
assistano, quand'anche una certa omogeneita' sia riscontrabile in tal
senso nel medesimo contesto normativo (il decreto legislativo n.  150
del 2011, qui in esame) di riconduzione a specifici riti preesistenti
di altri, in origine  anche  tra  loro  sensibilmente  differenziati:
infatti, il sistema e' un composito quadro di  procedimenti  ciascuno
con le sue  specialita',  salvo  solo  il  generale  richiamo  ad  un
contesto complessivo di riferimento, significativamente privo - nelle
sue  previsioni  generali   ovvero   originarie   -   di   previsioni
decadenziali,  strutturati  ciascuno  ed   in   concreto   su   norme
processuali  di  stretta   interpretazione,   se'   non   francamente
eccezionali. Al  contempo,  il  termine  decadenziale  in  parola  e'
coessenziale alla certezza del diritto e quindi alla funzione  stessa
del  processo  e  delle  scansioni  temporali  in   cui   esso   deve
articolarsi, onde giungere ad un vaglio della  pretesa  azionata,  il
quale  possa  conseguire  il   risultato   della   stabilita'   quale
significativo valore aggiunto rispetto alla  situazione  conflittuale
di partenza. p.7.4. Ma  sopprimere  un  termine  decadenziale  eccede
certamente dall'ambito della delega, circoscritta com'e' stata questa
- nella specie - alla mera "riconduzione" di un rito preesistente  ad
altro: cio' che implica, anche da un punto di  vista  semantico,  una
modesta attivita' di risussunzione o, a tutto concedere e nei  limiti
imposti, di un coordinamento sistematico si', ma pur sempre lessicale
e formale, tale da consentire al nuovo articolato la  conformita'  al
modello di riferimento ed una piu' organica ed ordinata articolazione
enunciativa.  Ed  i  relativi  poteri  in   concreto   conferiti   al
legislatore  delegato,  gia'  intrinsecamente  circoscritti   siccome
finalizzati  esclusivamente  a  tale   esito   di   assimilazione   o
comprensione, sono  stati  viepiu'  limitati  dall'imposizione  della
necessita' di tenere fermi i poteri ufficiosi  preesistenti  e  tutti
gli effetti processuali speciali (che non possono  cioe'  conseguirsi
con le norme contenute nel codice di procedura civile e quindi in via
diretta ed immediata in dipendenza del sistema processuale  generale)
della normativa originaria: il tutto a rimarcare la funzione di  mero
coordinamento sistematico, estrinseco e formale dei riti preesistenti
in cui il legislatore delegante ha  inteso  risolvere  o  ridurre  il
programma di  semplificazione.  p.7.5.  In  conclusione,  il  termine
originario di  venti  giorni:  -  non  poteva  essere  soppresso  dal
legislatore delegato; - non puo' recuperarsi - se  non  a  prezzo  di
aperte e non consentite violazioni di consolidati principi generali -
in via ermeneutica dal contesto del codice di procedura civile  o  da
altre  norme  processuali  speciali  od  eccezionali,  tali   dovendo
qualificarsi quelle che impongono termini di decadenza o  preclusione
per l'esercizio di attivita' processuali  altrimenti  libere;  -  non
puo' essere  surrogato  dall'ordinario  termine  -  altrimenti  detto
"lungo" - previsto dall'art. 327 c.p.c., siccome previsto  per  tutte
le  impugnazioni  in  senso  tecnico  (quale,   a   stretto   rigore,
l'opposizione in parola non e'); e comunque in quanto integrante  una
barriera preclusiva ulteriore rispetto  a  quella  del  termine  c.d.
breve, proprio e speciale per ciascuna di quelle; - non  puo'  essere
surrogato   dall'ordinario   termine   di    prescrizione,    siccome
irragionevolmente  eccessivo.  Ora,   l'eventuale   declaratoria   di
illegittimita' costituzionale  di  norme  abrogatrici  a  seguito  di
riscontrato eccesso di delega  comporterebbe  la  reviviscenza  delle
norme illegittimamente abrogate (Corte cost. 27 giugno 2012, n. 162):
e, quindi, semplicemente la restaurazione del solo originario termine
perentorio di proposizione di venti giorni, che  sarebbe  adietta  al
corpus normativo compiutamente riscritto, senza porsi in  alcun  modo
in contrasto, ne' esigere alcun ulteriore coordinamento, neppure solo
formale.  Di  conseguenza,  va  di   ufficio   rimessa   alla   Corte
costituzionale  la  questione  di  legittimita'  costituzionale   del
combinato disposto del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150,
art. 34, comma 17, e art. 15, comma 2, per contrasto  con  l'art.  76
Cost., ed in relazione ai commi primo e quarto della legge 18  giugno
2009, n. 69, art. 54, nella  parte  in  cui  -  risultatone  abrogato
l'inciso, contenuto  nell'originario  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, art. 170, comma  1,  "entro  venti
giorni dall'avvenuta comunicazione" - piu'  non e'  previsto  che  il
ricorso e' proposto entro venti giorni  dall'avvenuta  comunicazione.
p.8. - Senza rinunziare al carattere logicamente prioritario - se non
assorbente - dell'impostazione della appena illustrata  questione  di
legittimita' costituzionale  in  dipendenza  del  vizio  genetico  di
formazione della norma denunziata, non puo' peraltro farsi a meno  di
prospettare, in via chiaramente subordinata - ma non meno convinta  -
rispetto a quella, un ulteriore  profilo  di  non  conformita'  delle
disposizioni in esame ai principi costituzionali, in  riferimento  al
contenuto sostanziale ed agli indiscutibili effetti delle medesime. A
tanto si perviene, in particolare, non  gia'  ipotizzando  un  legame
irrisolto di alternativita' tra le due questioni, ma un  collegamento
di subordinazione logica di  quella  che  si  va  ora  ad  affrontare
rispetto a quella  appena  argomentata,  invocando  la  deliberazione
sulla seconda solo per il caso di rigetto di quella che precede  (per
tutte, Corte cost., 23  maggio  1995,  n.  188)  e,  quindi,  in  via
consecutiva tra le due (Corte cost., 17 gennaio 1993, n.  7).  p.8.1.
Infatti, la soppressione della previsione di  un  termine  perentorio
per  la  proposizione  dell'opposizione   avverso   il   decreto   di
liquidazione  del  compenso  all'ausiliario   del   giudice   involge
un'ulteriore e subordinata, anch'essa non manifestamente infondata  e
comunque rilevante per quanto argomentato sopra suo p.5, questione di
legittimita' costituzionale, per contrasto con gli articoli  3  e  24
Cost., e art. 111 Cost., comma 7: - sotto il primo  profilo,  poiche'
viene ad essere  ingiustificatamente  trattata  in  modo  diverso  la
fattispecie della liquidazione dell'ausiliario del  giudice  da  ogni
altra ipotesi di provvedimento reso inaudita altera parte dal giudice
civile        con         la         scansione         procedimentale
"decreto-opposizione-restaurazione  del  contraddittorio"  (archetipo
delle quali e' il  procedimento  monitorio  ai  sensi  dell'art.  633
c.p.c. e ss.), nella quale  il  transito  all'ultima  di  tali  fasi,
relegata ad un ruolo di eventualita' e posticipazione delle ordinarie
facolta' processuali, e' sempre ancorato a  termini  decadenziali  ed
assistito da idonee preclusioni, sovente assimilate al  giudicato;  -
sotto il secondo profilo, perche' il  provvedimento  inaudita  altera
parte indefinitamente impugnabile  impedisce  in  radice  un'efficace
difesa  dei  diritti  delle  parti,  mentre -  ben   al   contrario -
dall'esigenza di garantire quest'ultima discendono: da un  lato,  una
certa immanente suscettibilita'  di  revisione  od  impugnazione  del
provvedimento, almeno fino a quando non sia  restaurato  la  pienezza
del  contraddittorio  e  solo  successivamente  con   limitazioni   e
scansioni; dall'altro lato, la sottoposizione della relativa facolta'
a termini chiari e preclusivi, idonei a dar luogo ad un'affidabile  -
quanto  meno  relativa  -  immutabilita',  tale  da   escludere   una
precarieta' sine die o permanente dell'accertamento e  dell'eventuale
condanna in sede giurisdizionale (ed apparendo, se soli residui,  gli
ordinari  termini  di  prescrizione   manifestamente   connotati   da
irragionevole  eccessivita');  -  sotto  il  terzo  profilo,  perche'
impedisce il raggiungimento dell'obiettivo, da ritenersi  proprio  di
ogni giusto processo, di una stabilita' - almeno tendenziale -  della
pronunzia giurisdizionale: poiche' dai principi in  materia  discende
(Corte cost., ord. 6 maggio 2010, n. 163; Corte cost., ord. 4  luglio
2013, n. 174) il diritto ad un equo vaglio giurisdizionale,  che  sia
governato pero', per primarie esigenze  al  contempo  di  certezza  e
ragionevole durata, da scansioni temporali, il cui  mancato  rispetto
deve essere assoggettato alla sanzione della decadenza dal compimento
di determinate attivita'. p.9.». 
    Ritenuto, dunque, che in relazione ad  entrambi  i  condivisibili
profili, principale e subordinato, indicati nella motivazione  (sopra
riportata) della ordinanza n. 6652/2015 della  Corte  di  cassazione,
vada disposta - ai sensi della legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 23  -
la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, con sospensione
del presente giudizio ed assolvimento  degli  adempimenti  prescritti
dal citato art. 23, comma 4, della stessa legge.